Sono stata nel movimento dei focolari. Ho conosciuto Chiara Lubich, che è morta a casa sua, una villetta a Rocca di Papa. Ho fatto parte di quel movimento dall’età di 15 all’età di 23-24 anni.

Mi ricordo della venerazione che avevamo (e che suppongo ancora molti hanno) nei suoi riguardi. Ricordo i congressi di gennaio, quando facevo parte del movimento GEN. Congressi che si svolgevano al centro congressi di Rocca di Papa o di Sassone, rigorosamente separati i maschi dalle femmine. Mi ricordo quando Chiara veniva a leggerci una delle sue conversazioni spirituali. Allora per un breve lasso di tempo maschi e femmine venivano mischiati e ci accalcavamo cercando di restare il più possibile vicino al palco, per poterne incrociare lo sguardo o sperare che ci dedicasse un sorriso fugace. Ricordo le corse, quando usciva dal centro ove facevamo i congressi, una corsa per salutarla.

Ero sdoppiata allora. Da un lato l’ardore di poter diventare come tutte mi spingeva ad assumere comportamenti e a “sentire” certo tipo di emozioni, dall’altra uno strano distacco mi portava a chiedermi il perché di tutto ciò.

Perché tanta idolatria verso una persona? Non era infatti amore né semplice ammirazione. Si adorava quella donna. Lo percepivo nel modo che avevano tutti e che avevo anch’io di pronunciarne il nome, nel lampo di luce che illuminava le persone che avevano avuto occasione di interagire con lei.

Tutto doveva essere filtrato attraverso la sua “spiritualità”. Non poteva esistere nulla al di fuori di essa, nulla che non vi rientrasse in un modo o nell’altro. Si negava ogni libertà invitandoti dolcemente a rinunciarvi in prima persona. E noi lo si faceva col sorriso sulle labbra, offrendo il dolore di questi “tagli” a Gesù in croce.

Chiara in realtà si chiamava Silvia. Il nome lo scelse all’atto della sua originale e allora insolita consacrazione, un atto comune a molte forme di consacrazione attraverso il quale si lascia quanto è terreno per prendere una diversa identità.

La mia esperienza nel movimento dei focolari mi ha dato delle ferite profonde che ho dovuto curare in molti anni e che, probabilmente, non si sono ancora rimarginate. Ma c’è una cosa che mi ha insegnato, definitivamente: ho imparato che mai, per nessuna ragione al mondo, potrò considerare un altro essere umano sulla faccia della terra come emissario, portavoce o profeta di nessun dio, né come guru o maestro. E’ l’unica cosa di cui le sia veramente e profondamente grata: mi ha fatto da vaccino.

Ora tu sei tornata Silvia. Mi spiace per quanti inorridiranno alle mie parole ma son profondamente convinta che ora tu, Silvia, saprai quanti errori son stati fatti appigliandosi ad una spiritualità che era solo tua. E quanto male si celi nelle pieghe della parola “bene”.

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